5 settembre 2018

Leopardi: Le opere di genio e lo spettacolo della nullità che consola e ingrandisce l'anima

«Hanno questo di proprio le opere di genio, che, quando anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l’inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le piú terribili disperazioni, tuttavia ad un’anima grande, che si trovi anche in uno stato di estremo abbattimento, disinganno, nullità, noia e scoraggimento della vita o nelle piú acerbe e mortifere disgrazie [...], servono sempre di consolazione, raccendono l’entusiasmo; e non trattando né rappresentando altro che la morte, le rendono, almeno momentaneamente, quella vita che aveva perduta. E cosí quello che veduto nella realtà delle cose accora e uccide l’anima, veduto nell’imitazione o in qualunque altro modo nelle opere di genio [...], apre il cuore e ravviva. Tant’é, siccome l’autore che descriveva e sentiva cosí fortemente il vano delle illusioni, pur conservava un gran fondo d’illusione, e ne dava una gran prova col descrivere cosí studiosamente la loro vanità [...], nello stesso modo il lettore, quantunque disingannato e per se stesso e per la lettura, pur è tratto dall’autore in quello stesso inganno e illusione nascosta ne’ piú intimi recessi dell’animo ch’egli provava. E lo stesso conoscere l’irreparabile vanità e falsità di ogni bello e di ogni grande è una certa bellezza e grandezza che riempie l’anima, quando questa conoscenza si trova nelle opere di genio. E lo stesso spettacolo della nullità è una cosa in queste opere, che par che ingrandisca l’anima del lettore, la innalzi e la soddisfaccia di se stessa e della propria disperazione (gran cosa e certa madre di piacere e di entusiasmo e magistrale effetto della poesia, quando giunge a fare che il lettore acquisti maggior concetto di se e delle sue disgrazie e del suo stesso abbattimento e annichilamento di spirito).»

– Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri (#259/61, ottobre 1820)



Confrontare con Ligotti, qui:

«Questa, quindi, è l'estrema, cioè unica, consolazione: che qualcuno condivida parte del nostro sentire e da quello abbia realizzato un'opera d'arte, e che noi si possegga l'intuizione, la sensibilità e (che ci piaccia o no) quel peculiare insieme di esperienze per apprezzarla. Incredibile da dire, la consolazione dell'orrore nell'arte è che in realtà intensifica il nostro panico, lo amplifica sulla cassa di risonanza dei nostri cuori sventrati dall'orrore, porta il terrore al massimo volume, raggiungendo quella perfetta e assordante ampiezza che ci può far danzare al ritmo della bizzarra musica della nostra stessa sventura.»



O, per dirla con Nietzsche:

«L’arte come la redenzione di chi sa — di colui che vede il carattere terribile ed enigmatico dell’esistenza, di chi vuole vederlo, di chi conosce tragicamente.»