22 settembre 2013

Leone Gala e la maschera del "filosofo" (Pirandello: Il giuoco delle parti)

«Prerogativa essenziale dei personaggi dell'umorismo e del grottesco è quella di non essere caratteri unitari e coerenti, come quelli dell'arte tradizionale, ma di essere intimamente scissi, doppi. L'umorismo, come sappiamo, si esercita soprattutto come scomposizione del carattere, "si diverte a rappresentarlo nelle sue incongruenze", ma cercando le ragioni di tali contraddizioni, partecipandole col "sentimento del contrario". Ciò vale in primo luogo per Leone Gala, che è indiscutibilmente il personaggio principale del dramma. Leone si presenta all'apparenza come un tipico eroe pirandelliano, "filosofo" ed estraniato dalla vita, che contempla il vano meccanismo sociale e il convulso arrovellarsi degli uomini dall'esterno, anzi dall'alto della sua superiore consapevolezza, convinto di "aver capito il giuoco", e si estrania anche da se stesso, guardandosi vivere dal di fuori. Leone non vuole perciò essere coinvolto dalle passioni che travolgono gli uomini inconsapevoli: vuol dominare con l'intelletto la sua vita, chiarificare "il torbido dei sentimenti", fissare "in linee placide e precise" tutto ciò che "si muove dentro tumultuosamente". Se gli uomini, in preda ai loro impulsi, mutano continuamente, soffrendo in questo divenire, egli vuole fissarsi stabilmente al "pernio di un concetto". Questa sua filosofia di vita, nella scena terza del primo atto, la esprime mediante la metafora dell'uovo. Il caso imprevisto, che suscita le passioni e sconvolge l'equilibrio interiore, è paragonato ad un uovo fresco che arrivi addosso all'improvviso: il "filosofo" prontamenta lo afferra, lo fora e se lo beve, riducendolo ad un guscio vuoto; fuor di metafora, con l'intelletto sottrae alla vita tutta la sua torbida carica passionale, portando così alla luce il suo vero carattere di vuoto gioco di apparenze esteriori, di "parti". Ma proprio questo rivela la distanza che separa Leone Gala dagli autentici eroi "filosofi" pirandelliani, Mattia Pascal, Serafino Gubbio, Enrico IV, Vitangelo Moscarda. Questi sanno bene come sia ingannevole chiudersi in una parte, quindi non pretendono di dominare razionalmente il caos del reale, di fissare il fluire incessante e imprevedibile della "vita", ma vivono consapevoli di questo perenne divenire, e vi si abbandonano, rifiutando di irrigidirsi in "forme" fittizie. Leone invece riduce la "vita" ad un guscio vuoto, a qualcosa di astratto e arido, si fissa in una parte, quella dell'uomo intellettualmente superiore. Lungi dall'essere un eroe positivo ed esemplare, quindi, nel suo sforzo di razionalizzare la vita, nel suo ordine metodico e impassibile, nel distacco gelidamente ostentato dalle passioni umane, ha qualcosa di meccanico e ridicolo, suscita l'avvertimento del contrario.» (fonte dispersa)

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L'edizione televisiva del Giuoco, trasmessa dalla Rai nel 1970, con Rossella Falk, Romolo Valli, Carlo Giuffré:
http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-1929bdd2-6b76-443f-a48c-255492daab39.html


[Leone
: "Ce lo facciamo tutti, il male, a vicenda; e ciascuno a se stesso, poi... Per forza! È la vita. Bisogna vuotarsene."
Guido: "Bravo! E che ti resta allora?"
Leone: "Contentarsi, non più di vivere per sé, ma di guardar vivere gli altri, e anche noi stessi, da fuori, per quel poco che pur si è costretti a vivere."
Guido: "Ah, troppo poco, scusa!"
Leone: "Sì, ma ti compensa un godimento meraviglioso: il giuoco appunto dell'intelletto che ti chiarifica tutto il torbido dei sentimenti, che ti fissa in linee placide e precise tutto ciò che ti si muove dentro tumultuosamente."]