7 febbraio 2016

Keats: La solitudine è sublime

«Spero di non sposarmi mai. Se anche la più splendida fra le creature fosse ad attendermi alla fine di un viaggio o di una passeggiata, [...] la mia Felicità non sarebbe tanto squisita quanto è sublime la mia solitudine. [...]
Lo strepitìo del vento è la mia sposa e le stelle attraverso i vetri della finestra sono i miei figli. La potente idea astratta che ho della Bellezza in tutte le cose soffoca la felicità domestica, più minuziosa e frammentata. Ritengo che una sposa gentile e degli incantevoli figli siano una parte di tale Bellezza, ma ho bisogno di migliaia di queste belle particelle per riempirmi il cuore.
Via via che la mia immaginazione si rafforza, sento ogni giorno più che non vivo in questo mondo ma in mille mondi. Non appena sono solo, intorno a me s’adunano figure di epica grandezza che nel mio Spirito fungono come da guardia reale, e poi s’avanza maestosa la tragedia con scettro e manto. Secondo la disposizione della mia mente sono con Achille urlante nelle trincee, o con Teocrito nelle valli della Sicilia, o trasfondo tutto il mio essere in Trailo e ripetendo i versi io erro come un anima perduta sulle rive di Stige in attesa del tragitto, [...] mi dissolvo nell’aria con una voluttà cosi sottile che sono felicissimo di esser solo.
Te lo scrivo affinché tu veda che partecipo anche dei piaceri più alti e che, se anche scelgo di passare i miei giorni da solo, non sarò un solitario.»

– John Keats, lettera al fratello George, ottobre 1818