15 gennaio 2018

Ligotti e Lynch: il senso di sé non è altro che un’illusione (rassegna)

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il Tascabile: Al di là del bene e del male (di Gianluca Didino)

«Un aspetto accomuna due grandi artisti del genere weird come Thomas Ligotti e David Lynch: l’idea che la vita umana è in qualche modo irreale e il libero arbitrio è un’illusione. Si potrebbe senza dubbio dire che proprio questa caratteristica è uno degli aspetti che rendono il loro lavoro disturbante.
[...]
Per Ligotti/Metzinger, il senso di sé non è altro che un’illusione dietro la quale si nasconde il vuoto: al di là della rappresentazione di noi stessi prodotta dalla mente non si trova, letteralmente, nessuno. Da questa prospettiva, gli esseri umani non sono nient’altro che marionette imprigionate nell’illusoria convinzione di essere vive.
[...] L’opera di Ligotti può essere interpretata alla luce del weberiano “disincanto del mondo”, quella tendenza che per il sociologo sassone ha caratterizzato la modernità fin dalle sue origini e il cui progetto la filosofia ultra-pessimista del XXI secolo si propone di portare a compimento. Per Brassier, anche autore della prefazione della prima edizione della Cospirazione, la filosofia dovrebbe smettere di cercare antidoti al nichilismo. Piuttosto, il suo scopo sarebbe quello di celebrarlo come un “traguardo della maturità intellettuale” del pensiero razionalista emerso con l’Illuminismo e abbracciarne le “possibilità speculative” [...].
[...] I film di Lynch possono essere agevolmente letti come messe in scena del pensiero vedico, nelle quali i personaggi attraversano il Saṃsāra alla ricerca di una dimensione più autentica dell’esistenza: Cooper da questo punto di vista è sicuramente un ottimo esempio di discepolo che si immerge nel Male per trovare l’illuminazione. [...] Tuttavia giungere alla conoscenza non è facile, e per farlo bisogna attraversare un mondo materiale profondamente intriso di orrore. Come nella più classica delle cosmogonie gnostiche, a plasmare questo mondo materiale è stato un demiurgo malvagio o, perlomeno, dagli intenti imperscrutabili.
[...] Anche i personaggi di Lynch, come quelli di Ligotti, sono privi di una libertà di scelta: mossi da forze che non comprendono se non in maniera imperfetta e inconscia, vivono, amano, soffrono e muoiono come conseguenza di conflitti giocati in una dimensione che li trascende. Ma – e questo è forse l’aspetto che differenzia maggiormente l’opera dei due autori – in Lynch non c’è traccia di nichilismo propriamente detto. Il carattere “irreale” dei personaggi lynchiani non priva la loro esistenza di dignità.
[...]
A cambiare è l’approccio ai problemi connessi del materialismo e del nichilismo: mentre Lynch li aggira appellandosi a una tradizione mistica che dalla spiritualità orientaleggiante arriva fino alla psicologia junghiana e alla psichedelia anni Sessanta, Ligotti, come fa giustamente notare Brassier, spinge il problema alle proprie estreme conseguenze»