31 gennaio 2012

Vivere consapevolmente di illusioni (rassegna)

Dalla conversazione di Franco Marcoaldi con Stefano Levi Della Torre su Repubblica di ieri (di cui tralascio la parte iniziale dedicata alle critiche contro i postmodernisti, poiché il discorso da farci intorno sarebbe molto lungo), un’acutissima riflessione sulla superba vertigine dell’insondabile e sulla mediocrità dell’approccio religioso, visto che c’è sempre bisogno di ricordarlo.


Repubblica: Vivere consapevolmente di illusioni: ecco la lezione di Leopardi, mistico laico (di Franco Marcoaldi)

«A questo punto, però, voglio ricordare un passo di Leopardi in cui si dice che ci sono dei filosofi talmente illusi da pensare che bisogna distruggere le illusioni. Straordinario, no? Ecco così che le cose si complicano ulteriormente. Perché non c’è niente da fare: anche il nostro desiderio di senso è in qualche modo falsificante. Il bambino, ad esempio, stabilisce che una certa pianta vuole bene a una certa pietra che vuole bene a un certo animale…. Questa teatralizzazione del mondo è fisiologica, attiene alla sopravvivenza umana. Ma appunto, è un’illusione. Del resto, volendo addentrarci ulteriormente nel labirinto: cos’è l’antropologia se non lo studio delle illusioni umane, le quali a loro volta rappresentano una concretissima realtà sociale? Così il circolo ricomincia e ricomincia anche la nostra ricerca della verità.
Per questo lei afferma che non possiamo mai arrivare alle verità ultime, definitive. Kafka affermava che siamo «abbagliati» dalla verità. «Vera è la luce sul volto che arretra con una smorfia, nient’altro». Ecco perché la verità risulta inafferrabile, insondabile, abissale.
E sono totalmente d’accordo con lui. Tant’è che, da laico, non obietto alla religione di essere troppo metafisica, ma di esserlo troppo poco. Perché pretende di dare un volto definitivo a quell’abisso. I veri, grandi mistici laici del moderno sono proprio Leopardi e Kafka. Perché accettano l’abisso e ci sprofondano dentro. Senza riempire il mistero di parole volte ad addomesticare quell’abisso, per addolcirne l’angoscia. Senza tradurre la vertigine dell’insondabile in liturgie consolatorie. Freud sosteneva che si investono più energie nel ripararsi dagli stimoli che nel riceverli. Ecco, le religioni costruiscono delle formidabili fantasmagorie proprio per incistare lo scandalo del caos, per dare senso alla realtà e al contempo ripararsi da essa.»