23 novembre 2011

Leopardi: Il mangiar soli o della monofagia

Dedico questa citazione a chi è incline alla pratica “inumana” della “monofagia”.
Premetto che (soprendentemente) la scelta lessicale pare poco felice: quel “mono” è difficile non percepirlo come l’oggetto, piuttosto che il soggetto, dell’azione di “fagia”; come nel significato attuale del termine, d’altronde. Più adeguato sarebbe forse stato qualcosa tipo “solifagia”.



«Del resto io posso per la mia inclinazione alla monofagia, esser paragonato all’uccello che i greci chiamavano porfirione, se è vero quel che ne raccontano Ateneo ed Eliano, che quando esso mangia, abbia a male i testimoni.
[…]
Il mangiar soli. . era infame presso i greci e i latini, e stimato inhumanum. . Io avrei meritata quest’infamia presso gli antichi. .
Ora io non posso mettermi nella testa che quell’unica ora del giorno in cui si ha la bocca impedita, in cui gli organi esteriori della favella hanno un’altra occupazione. ., abbia da esser quell’ora appunto in cui più che mai si debba favellare; giacché molti si trovano, che dando allo studio o al ritiro per qualunque causa tutto il resto del giorno, non conversano che a tavola, e sarebbero bien fachés [molto contrariati, nota mia] di trovarsi soli e di tacere in quell’ora. Ma io. . non credo di essere inumano se in quell’ora voglio parlare meno che mai, e se però pranzo solo.»

– Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri [febbraio 1827 e luglio 1826]


E vorrei comunque permettermi di rincarare la dose, rispetto a Leopardi, difendendo questa “bestiale” inclinazione in maniera ancora più assoluta, e cioè indipendentemente:
1- dal soffocante ambiente familiare che probabilmente nel suo caso ne è stato uno dei motivi scatenanti;
2- dal fatto che uno abbia o no modo di conversare negli altri momenti della giornata;
3- da ragioni legate alla buona digestione, a cui Leopardi sembra dare importanza (testo omesso, si veda il testo completo) ma che in realtà spesso si traducono nel contrario, se è vero che mangiare da soli facilmente può indurre a peggiorare, e non migliorare, le proprie abitudini alimentari e di digestione.